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La canzone di Eriol
I
Vennero in giorni ignoti i miei padri antichi E di figlio in figlio posero nel suolo Radici tra i frutteti e gli orli erbosi Del fiume, e il verde alto della piana fragrante:
Videro molte estati accender gialli fuochi Di giaggioli fra i bei giunchi flessuosi, E un mar di fiori mutarsi in aureo stuolo Di frutti in ogni orto scintillante.
Tra file d’alberi i narcisi in primavera Ammicavano, ed eran benvenute Le risa
in mezzo ai canti di lavoro; Tempo era poi di cori e di bevute.
Recavan dolce sonno nella sera Api ronzanti sulle siepi fiorite; E in giorni lieti sotto il sole d’oro Ore tranquille scandivan ricche vite – Ma ormai quei tempi son distanti: Più non si getta il seme, non s’intonan canti; E io per forza in città e villaggi Ramingo l’isola misuro coi miei viaggi.
II
Guerre di grandi re e d’armerie il clamore Dove le spade chi avrà mai contate, E lance come spighe nell’estate Tutte le Grandi Terre colmaron di fragore. I Mari risuonaron delle flotte; fiamme voraci Dietro gli eserciti arsero ogni campo e villaggio; Al sacco al crollo oppure a fuochi audaci Le città son consegnate a quel passaggio, E scettri e tesori, popoli e re, fanciulle e spose Tutti scomparvero. Ora muta è ogni corte, E delle torri in rovina le sagome gloriose Svaniscon lente; piede non varca le crollate porte. Là mio padre cadde in un campo insanguinato, E in un famelico assedio mia madre là perì, E io, prigioniero, udii il richiamo accorato Dei grandi mari, e il mio spirito impazzì Per le coste scure dell’ovest, dove un giorno lontano Vennero gli avi di mia madre, e i lacci infransi, Viaggiando per valli sconvolte e per deserti immensi Finchè non bagnai il piede nel mare occidentale, Finchè non colmai l’orecchio con il frusciare piano, Con lo sciabordio e col rombo del mare occidentale – Ma ormai questi tempi son distanti E le baie scure e le onde ignote ora conosco bene, I promontori bui, gli arcipelaghi di brume, E i perigliosi stretti e le acque vuote frapposte Tra quest’isola magica e le mie antiche coste